Di Claudio Ceppi
Nella ricorrenza del doppio centenario dagli eventi del 1814, il Municipio di Giubiasco ha patrocinato la ristampa della tesi di laurea del defunto Raffaello Ceschi; un intellettuale che ho conosciuto di persona per il tramite della sorella, mia diretta collaboratrice, quando ero responsabile dell’ufficio cantonale di esazione.
La dissertazione di Ceschi pone attenzione al “ Ticino nella crisi del 1814”, facendo luce su uno dei tanti momenti di sofferenza attraverso i quali il Cantone ha acquisito dignità paritaria tra i Cantoni della Svizzera.
Un breve excursus per contestualizzare le vicende studiate da Ceschi. Il Ticino nei tre secoli di balia dei Cantoni confederati aveva conosciuto la miseria e l’ingiustizia.
Con la conquista francese della Lombardia nel 1796, anche nei territori dei baliaggi si cominciava a sentire il desiderio di libertà. Sennonché vi era una corrente, per lo più di giovani di buona famiglia e di studenti universitari che propendevano per la repubblica Cisalpina, contrapposta alla maggioranza del popolo che si aspettava invece la libertà concessa dai signori svizzeri. Verso la Cisalpina era sentita un’estrema contrarietà, dovuta al comune equivoco che vi fosse un’ispirazione giacobina, tesa al sovvertimento della religione cattolica.
Si ebbero contrasti violenti; i corpi dei volontari di Lugano e della campagna, costituiti il 15.2.1798, dovevano ben presto contrastare l’invasione di un gruppo di patrioti cisalpini, pronti a piantare l’albero della libertà sormontato dal berretto cisalpino, sostituito poi dal cappello di Guglielmo Tell con il sovvertimento delle sorti degli scontri. Malauguratamente non erano solo chiassate ma si sparava e si uccideva.
Intanto nel marzo 1798, “riconoscendo gli imprescrittibili diritti dell’umanità”, Basilea rinunciava alla sovranità sulle terre ticinesi, imitata a breve dagli altri Cantoni. Ma il Ticino non poteva assaporare il bene della libertà appena conquistata. Si trattava nell’immediato di fare una scelta di primaria importanza, o con la Svizzera o con la Cisalpina e non era facile scelta, con Lugano fermamente deciso a rimanere legato alla Svizzera, Mendrisio invaso dai Cisalpini che già aveva chiesto l’unione a Milano, Locarno irrisoluta e Bellinzona pronta a dichiararsi libera, tuttavia sugli alberi della libertà non il berretto, non il cappello, ma una bilancia d’inequivocabile significato.
Oltralpe, dopo l’invasione delle truppe francesi, cadeva la Confederazione formata dai tredici Cantoni e il 12.4.1798 era costituita la Repubblica elvetica una e indivisibile, sul modello della repubblica madre, con diciotto dipartimenti cui era lasciato l’antico nome di Cantoni; il Ticino era diviso in due Cantoni: Lugano e Bellinzona. Il nuovo governo non raccoglieva i necessari consensi, vuoi per l’antipatia sentita da molti svizzeri, vuoi per le mene dell’aristocrazia, vuoi per le ingerenze del governo austriaco e inglese. Ne seguiva una sollevazione popolare con saccheggi e morti in una confusione generale in cui avvenivano scontri cruenti anche tra le truppe francesi e quelle austro-russe che agivano liberamente sul suolo svizzero e che saccheggiavano anche quei pochi beni di cui il popolo poteva ancora disporre. È ricordato, del 1799, il passaggio al Gottardo delle truppe russe del generale Suvorov diretto a nord per scontrarsi con i francesi, ma sono annotate anche scorribande di truppe prussiane.
Di ritorno dalla campagna d’Egitto, sulla via dell’Italia, Napoleone Bonaparte, imponeva il ripristino del governo repubblicano in Svizzera e dettava nel 1803 il famoso atto di mediazione; la prima carta costituzionale per il Ticino (in vigore sino al17.12.1814).
La nuova Repubblica ticinese iniziava sotto buoni auspici e in particolare nel primo lustro dopo il 1803 erano adottate leggi provvide: liberata l’agricoltura da censi e livelli perpetui, comandato il riscatto delle decime, garantito il diritto di chiedere in proprietà sino a dieci pertiche di fondi comunali coltivabili a eque condizioni; nuova organizzazione della giustizia; legge sull’educazione del popolo; decisa la costruzione di nuove strade; ordinamento militare. Secondo Stefano Franscini, “La Svizzera Italiana”, opera del 1837, molti però gli ostacoli insormontabili con le sole buone intenzioni; mancavano i mezzi finanziari, le nuove imposte non erano viste di buon occhio dal popolo e si doveva inoltre far conto con la cupidigia di chi riceveva gli appalti d’opera. La corruttela era generalmente diffusa, nei Consigli e nei Tribunali. Per di più il Cantone aveva l’onere di formare un contingente di volontari per gli eserciti francesi del mediatore.
Si preparavano tempi cupi e così ne scrive Ceschi:
“Agli albori del 1814 non erano solo le strettezze finanziarie e gli sforzi d’organizzazione militare a preoccupare le autorità del Canton Ticino. La situazione della Confederazione si era a tal punto aggravata da far temere per la sua stessa esistenza. (…) le potenze alleate non avevano riconosciuto la neutralità svizzera e i loro eserciti si accingevano a penetrare sul territorio elvetico. Il Canton Berna era in preda agli intrighi dell’agente austriaco conte Pilsach e a mene reazionarie tendenti a ricostruire l’antica Confederazione con tredici cantoni sovrani e paesi soggetti.”
Ne conseguiva che
“ I rappresentanti di Uri, Svitto, Lucerna, Zurigo, Glarona, Zugo, Friborgo, Basilea, Sciaffusa e Appenzello, convinti della necessità di abrogare l’atto di mediazione, invitavano vecchi e nuovi Cantoni a unirsi a loro per costituire un nuovo legame federale su basi di perfetta uguaglianza, poiché consideravano che la condizione di sudditanza fosse incompatibile con i diritti di un popolo libero (…) “.
La convenzione era immediatamente sottoscritta dalle delegazioni di San Gallo, Argovia, Turgovia e Vaud. Il Governo ticinese, invece, faceva sapere al landamano federale Reinhard che non poteva assumere immediata posizione; plaudiva all’iniziativa ma trincerandosi “dietro al solito cauteloso legalismo” tergiversava nel dare l’adesione e solo il 31.1.1814 poteva essere presentata all’Assemblea federale, che già il 29 dicembre 1813 aveva deciso solennemente di abrogare l’atto di mediazione.
Le ragioni di una decisione tanto impegnativa risultarono ben chiare: “… le Potenze alleate dettavano alla Svizzera senza mezzi termini di unirsi in Federazione con un nuovo atto, che si avvicini il più possibile alla forma antica, onde far sparire l’influenza francese”
Ecco anche il perché di tanti progetti di modifica costituzionale, con strascichi anche cruenti, dopo l’atto di mediazione del 1803 di Napoleone Bonaparte; ben cinque nel 1814:
- la Costituzione del 4.3.1814 (mai approvata dalle potenze europee alleate contro Napoleone);
- la Costituzione del 29.7.1814 (quelle, dei tumulti, con il malcontento del clero, mai entrata in vigore);
- la Costituzione del 4.9.1814, (proposta dai deputati dei circoli, mai entrata in vigore);
- la Costituzione del 24.10.1814 (non approvata dalla Dieta federale);
- la Costituzione del 17.12.1814 (votata sotto l’influenza delle potenze alleate contro Napoleone).
E poi,
-la Costituzione del 23.6.1830 finalmente approvata anche con il consenso popolare.
Siccome nel testo di Ceschi si fa riferimento qua e la alla Costituente, è bene ricordare che si tratta della Commissione della Costituente per la riforma della Costituzione che ha avuto tante altre occasioni di dibattere in materia, nel 1842, 1849, 1855, 1904, 1946, 1950-54, 1967, 1969, 1977 e 1994 per modifiche puntuali, sino alla revisione generale del 14.12.1997.
Potrebbe far meraviglia che un ristretto lembo di terra potesse destare tanti appetiti, ma sta che la Svizzera e il Ticino costituivano allora un punto strategico nella composizione dello scacchiere del dominio europeo esercitato dalle potenze militari dell’epoca, la Francia, sino alla caduta di Napoleone Bonaparte, l’Austria, la Russia e l’Inghilterra.
Quanto poi potesse davvero contare l’atto di mediazione del 1803, agli occhi dello stesso Napoleone Bonaparte è facilmente intuibile guardando agli eventi che precipitarono il Ticino in uno stato di pesante occupazione militare tra il 1810 e il 1813 da parte delle truppe del Regno d’Italia, del quale lo stesso Bonaparte si era fatto proclamare Re, con una fastosa incoronazione avvenuta a Milano il 26.5.1805. (prima era la Repubblica Cisalpina costituita nel 1797 sotto dominio francese, poi la Repubblica Italiana nel 1802 sempre per volontà francese e infine il Regno d’Italia, dal 1805 sino all’abdicazione di Napoleone nel 1814).
La giustificazione ufficiale dell’occupazione, così scrive Ceschi:
“ misure di polizia doganale nell’ambito del sistema di blocco continentale, per prevenire e impedire il contrabbando, confiscando le merci inglesi e tenendo sotto sequestro quelle coloniali. (…) L’occupazione aveva fatto temere, ad onta delle assicurazioni inizialmente contrarie, l’annessione del Mendrisiotto al Regno d’Italia.
E ancora Ceschi:
“Napoleone se ne era poi servito come mezzo di costante pressione, utile per estorcere alla Confederazione dei battaglioni sotto la minaccia di rettifiche di confini”.
Oltre la citazione storica, se ha senso dare un giudizio nell’ottica odierna, bisogna additare quel comportamento poco assennato che nel 1811 * fece sì che il Mendrisiotto fosse lì lì per essere ceduto all’Italia, e la Leventina fosse ancora in bilico tra l’appartenere al Ticino o al Canton d’Uri. Furono determinanti le pressioni esterne, ma anche quelle esercitate dalle forze reazionarie che sognavano di ripristinare il vecchio ordinamento con Cantoni sovrani e paesi soggetti. L’integrità territoriale ticinese era finalmente salvata anche grazie alla Russia zarista, che patrocinava gli interessi dei Cantoni formati dagli ex baliaggi. L’atteggiamento dello Zar è stato influenzato e al proposito è esplicativa la riconoscenza, espressa con la cittadinanza onoraria concessa a Frédéric – César La Harpe, patriota vodese, che era stato precettore dello Zar.
L’indipendenza della Svizzera, con la dichiarata neutralità perpetua, più imposta che voluta, era finalmente sancita dal congresso di Vienna del 1815.
Nella dissertazione di Ceschi è dato ampio spazio all’azione di un cittadino di Morbio, quel Luigi Catenazzi, laureato in diritto a Pavia e poi docente di lettere e di storia al liceo di Como, mai sino a quel momento impegnato in politica. Ma nel settembre del 1814, vincendo la naturale ritrosia, Catenazzi assumeva un ruolo attivo nella contestazione della Costituzione del 29.7.1814, lui stenuo difensore della separazione dei poteri e per la proibizione del cumulo delle cariche.
In una lettera da Morbio Sotto del 14.9.1814, indirizzata al Landamano della Confederazione Rainhardt, nella forma retorica del tempo presentava le sue ragioni e con piglio severo, denunciava coraggiosamente l’intervento partigiano e incompetente del Commissario federale Sonnenberg e non mancava di citare i nomi di personalità ticinesi che con quel Commissario avevano intrallazzato. Della lettera, che appare in appendice alla recente pubblicazione, val la pena di riportarne alcuni stralci significativi:
“ (…) Ah! Eccellenza, quale sventura rovesciò sul Canton Ticino mandandogli il sig. Sonnenberg! Quest’uomo è tutt’altro adatto che a commissioni diplomatiche. (…) egli è un mentitore sfacciato. (…) Ma se il sig. Sonnenberg avesse buona fede di mostrare a vostra Eccellenza le lettere che le comuni gli mandavano in risposta, ella vedrebbe quali sono i sensi di questo popolo. Gli furono da tutti savie e ferme risposte rimandate: anzi molte gli diedero in esse buone lezioni di diritto pubblico, di politica e di creanza. Ma che sperare può mai l’innocente e l’oppresso da quest’uomo che non venne tra noi come giudice, ma come parziale accanito? Ma di questo suo contegno, e di peggio che far possa ancora, non abbiam più meraviglia dacché fece conoscere al pubblico quali sono i suoi amici e i suoi confidenti nel Canton Ticino. Visitò in sua casa il sig. Quadri, e con lui si consigliò: si mostrò in pubblico circondato da tutta quella razza vile di persone, che mai non amarono e mai non furono dalla patria amate. (…) Ah! Eccellenza, qual impressione fu fatta nell’animo de savi e di tutto il popolo, quando fu veduto il Commissario della Confederazione Svizzera cinto da tutti quegli infami che vendettero la patria pochi anni sono (…) quando fu veduto mostrarsi umano solamente con essi (…) È qui divulgata anche la notizia (…) che per fare quella circolare e mandare a Lei le notizie a modo de nemici del nuovo ordin di cose, abbia ricevuto una grossa somma di denaro.”
E più oltre:
“ si assicuri vostra Eccellenza che è sentimento universale, che fra quanti mali ci possano accadere, non ve n’ha alcuno peggiore di quello di avere la costituzione del 29 luglio. (…) Dappoiché abbiamo patito l’invasione degli Italiani, il paese nostro divenne guasto più che mai (…) Qué nemici picchiarono ad ogni petto per introdurvi il tradimento: cercarono specialmente di corrompere i magistrati per tirar fuori il voto d’unione all’Italia . (…) appena lessi la costituzione che si voleva dare al Canton Ticino (…) sentii ribrezzo di venire in luogo ove avrebbero tiranneggiato i Quadri, i Maggi, i Caglioni.”
Non bastasse ciò, Catenazzi scriveva anche all’amico Ugo Foscolo, il poeta, chiedendogli una lettera di presentazione per il Conte Capodistria, ministro dell’impero d’Austria, al quale poter far presente le ragioni sacrosante dei ticinesi.
Contemporaneamente, avendone evidentemente la capacità morale, induceva l’assemblea comunale di Morbio il 2 settembre 1814 a chiedere “la divisione dei poteri onde i deputati esercenti il potere sovrano abbiano a sorvegliare liberamente e sindacare imparzialmente i Magistrati e non già a dividersi fra di loro gli impieghi e giudicar se stessi”.
L’impegno politico del Catenazzi è stato di breve tempo e non propriamente fortunato. Chiamato a rappresentare il circolo di Balerna nel secondo Consiglio Cantonale, era incaricato ufficialmente dal commissario federale Salis Sils di rivedere la costituzione ticinese secondo i desideri del popolo. All’occasione non mancava di divulgare il suo studio sulla separazione dei poteri, che avrebbe poi dato alla stampa.
Benché legale, anche il secondo Consiglio Cantonale era messo duramente a tacere dal nuovo commissario federale Hirzel.
Si sa che non sempre la ragione trova immediata accoglienza e così Catenazzi, deluso, lasciava il mandato; secondo le note biografiche di Ceschi, si sarebbe occupato di politica solo da una prospettiva rigidamente antiradicale nel “Quadro politico del Canton Ticino dal 1830 al 1855”.
Si può forse intuire il motivo di tale atteggiamento; quello fu, infatti, un periodo di fervore anticlericale, che produsse la secolarizzazione dei beni delle congregazioni religiose devoluti a favore dell’istruzione secondaria, per finire con la promulgazione della legge civile-ecclesiastica nel 1855.
Il men che si possa dire di Luigi Catenazzi è che sia stato uomo di grandi principi, patriota e uomo coraggioso.
___________
note.
* Il 17 aprile 1811 si teneva a Soletta una Dieta straordinaria per discutere sulla ratifica dei confini ticinesi voluta da Napoleone e, il 31 luglio 1811, il Gran Consiglio votava la cessione del Distretto di Mendrisio al Regno d’Italia, cessione che - fortunatamente – non si realizzava per le note disavventure belliche dell’imperatore. ( Kurt Baumgartner, Il Canton Ticino occupato dalle truppe napoleoniche del Regno d’Italia, prefazione di P Callisto, pag. 9 )