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Santa Maria dei Miracoli Dove ora sorge il Santuario di Morbio si innalzava, secoli fa, un castello, attestato nel 1198 e distrutto nella prima metà del cinquecento.
Dello stesso rimase unicamente la cappella dedicata a San Bernardino da Siena, trasformatasi con il tempo in un mucchio di macerie, sepolte da erbacce, rovi e spine.
Circondato da edera e fortunatamente ben conservato, rimase l'affresco della cappella, raffigurante la Vergine con il Bambino.
La storia del santuario di Santa Maria dei Miracoli inizia il 29 luglio 1594.
È un venerdì e due fanciulle milanesi, Caterina e Angela, rispettivamente di dieci e di sette anni, raggiungono il colle di Morbio, dove anticamente sorgeva un castello.
Sono due povere fanciulle malate, tormentate dal demonio e sono salite fino a Morbio, per chiedere la benedizione di don Gaspare Barberini, il vice-parroco (Morbio diventerà parrocchia soltanto nel 1777, staccandosi da Balerna) che gode di particolari carismi.
Ma il viceparroco è assente; è sceso a Cernobbio per la festa di Santa Marta. Alla stanchezza del viaggio e alla tristezza della malattia, si aggiunge l'amarezza della delusione. Non resta che aspettare.
Fra i ruderi dell'antico castello vi sono anche le rovine del vecchio oratorio e sul muro sbrecciato e cadente, é dipinto l'affresco, che rappresenta la Vergine in atteggiamento profondamente materno, mentre allatta Gesù.
Sullo spiazzo antistante, le due madri, angustiate da una nuova crisi delle due fanciulle, pregano con fede, dopo aver condotto, con l'aiuto di alcune donne di Morbio, le due ragazze davanti all'immagine sacra.
E allora avviene il miracolo. Quelle due povere creature semplici e innocenti sono salve.
Questo è il miracolo di Morbio: la Madonna appare alle due fanciulle e le guarisce.
Nel processo sulla manifestazione della Madonna dei Miracoli steso dal Vicario Generale del Conte Vescovo di Como in presenza dell'Arciprete di Balerna il venerdì 5 agosto 1594, tra l'altro si leggono le parole di Caterina di dieci anni che riferisce come la Madonna le aveva detto che "avvisasse che si facesse refare quel luogo e che su gli si dicesse Messa". La Madonna gli aveva pure detto che dovesse dire a tutti che "dovessero dire 15 Pater Noster e 15 Ave Maria per i 15 misteri della vita, passione, morte e resurrezione del Signore".
Infine Caterina afferma che dopo che fu venuto giù dallo scaletto, la Madonna le aveva detto inoltre altre cose, "che si dovesse fare Capuccina" e che lei le aveva promesso di poter effettuare questa sua promessa. Questo è il triplice messaggio di Santa Maria dei Miracoli.
Una vetrata policroma, situata alla sommità dell'abside e posata all'inizio di questo secolo, illustra e ricorda a chi entra nel santuario, questo prodigio.
Caterina su una scaletta a pioli, con le braccia distese, ascolta e contempla davanti all'immagine della Madonna. Ai piedi della scaletta, Angela, l'altra fanciulla ammalata, è distesa assopita.
Otto giorni dopo l'evento, il 5 agosto 1594, la curia vescovile di Como, la cui giurisdizione ecclesiastica si stendeva anche alle regioni meridionali del Ticino, istruiva il regolare processo canonico, che riconosceva, dietro la deposizione giurata dei principali testimoni oculari, la verità dei fatti accaduti e la loro natura prodigiosa e soprannaturale.
Sul luogo sorse in pochi giorni un oratorio per recitarvi il rosario e celebrarvi la Messa, come aveva detto la Madonna a Caterina, mentre il 29 luglio 1595, anniversario dell'apparizione e del miracolo, veniva benedetta e posata la prima pietra per la costruzione del santuario, consacrato il 16 maggio 1631 dal Vescovo di Como, mons. Filippo Archinti.
Un altro vescovo di Como, mons. Giambattista Muggiasca, eresse il Santuario a chiesa parrocchiale, quando, con istromento 2 agosto 1776, staccava la comunità di Morbio Inferiore da Balerna, costituendo la parrocchia indipendente dal 1. gennaio 1777.
Nel 1990 il Santuario veniva dichiarato da Papa Giovanni Paolo II al rango di Basilica minore.
Il miracolo é ricordato ogni anno nella festa patronale del 29 luglio. |
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La Basilica minore di Santa Maria dei Miracoli Costruita nella prima metà del 600, presenta una facciata di tipo ancora rinascimentale, con elementi che sembrano parlare il linguaggio di altre correnti, come l'eco quattrocentesca delle portine minori o il preannuncio dell'avvento barocco nel portale.
Solenne la cupola e congiunta alla chiesa la torre del campanile con cornice terminale mensolata secondo l'uso del tempo in queste terre. Al campanile si attacca, per un lato, una tarda costruzione ottocentesca destinata originariamente a cappella funeraria.
L'interno é ad una navata con presbiterio e quattro cappelle minori, rispettivamente dedicate alla Madonna dei Miracoli, a San Giuseppe, a San Carlo e ai Santi Pietro e Paolo. Stucchi, decorazioni, tele ed affreschi conferiscono a questa chiesa solennità e ricchezza, nell'armonia di un insieme ben programmato, nella linea di un piano globale minuziosamente curato. In particolare il presbiterio e le citate cappelle laterali concorrono a realizzare un ampio discorso di ricchezza che rende prezioso e suggestivo il santuario. Così la tela, opera di un pittore del XVII secolo, rappresentante San Carlo nell'omonima cappella, oppure la tela con i Santi Pietro e Paolo nella cappella di fronte, dove pure é rilevante la presenza dello stuccatore Agostino Silva.
Ancora più ricca é la cappella dedicata a San Giuseppe, dove il Petrini affrescò, probabilmente intorno al 1726, nella lesena di destra "Santa Teresa" e in quella di sinistra "San Pietro d'Alcantara" affreschi accompagnati da cartigli di stucco e da putti in un impianto decorativo particolarmente studiato.
Nelle pareti laterali riquadri di stucco ospitano quattro tele di tre autori diversi. Di pittore accademico del seicento i due quadri inferiori ricollegabili al Santo cui é dedicata la cappella, mentre nei riquadri superiori si trovano lo "Sposalizio della Vergine", accostabile ad analoghi soggetti di Francesco Torriani nella parrocchiale di Mendrisio e di fronte "La morte di San Giuseppe" del Petrini, che lo consegnò nel 1726. Parecchi altri elementi, come i tre riquadri della volta, ripresentano momenti della vita di San Giuseppe, la cui statua lignea, del XVIII secolo si trova sopra la mensa in una nicchia d'Arzo.
Molto ricca e preziosa anche la cappella della Madonna dei Miracoli, al cui centro, sopra la mensa, sta la "Madonna del latte" (venerata col nome di Santa Maria dei Miracoli) affresco del quattrocento, collocato all'interno di una rilevante cornice rossa d'Arzo. Intorno all'immagine é la corona dei 15 Misteri del Rosario, su tavolette di rame quadrate o rotonde in cornicette di stucco, nelle quali si distinguono una mano popolaresca e un'altra colta. Nella volta sono distribuite cinque cartelle con coppie di angeli che le separano e le congiungono insieme, e ghirlande pendule.
Vi sono affrescati "l'Incontro di Maria ed Elisabetta", "l'Assunta", "l'Annunciazione"; fra le due cartelle medie stanno due minuscoli ovati con le immagini dipinte di "San Giorgio" e di "San Vittore".
Dedicate a due donne bibliche e alla Vergine le tele delle pareti laterali, la cui distribuzione é poi stata ripetuta nella già descritta cappella di San Giuseppe.
Le tele di "Ester e Assuero" e di "Giuditta e Oloferne" stanno a prefigurare la vittoria sul male. Sovrastante la prima é "La Vergine del Rosario con i Santi Domenico e Caterina", mentre nella parete di fronte, sempre in festosa cornice di stucco é "l'Immacolata" di Francesco Torriani, datata intorno al 1647.
Del presbiterio é da sottolineare, al centro della volta, il grande riquadro di stucco dove é affrescata "L'Assunzione", mentre nei restanti riquadri sono affrescati Angeli musici, dipinti dal comasco Carlo Gaffuri, intorno al 1671.
La pala dell'altar maggiore rappresenta la "Nascita della Vergine", opera del milanese Filippo Abiati. Nelle pareti laterali, in cornice di stucco, stanno due grandi tele seicentesche: a destra "La presentazione di Gesù al Tempio" di Carlo Gaffuri, eseguita fra il 1670 e il 1680; di fronte "La presentazione della Vergine al Tempio" di Paolo Recchi del 1679. Sugli angoli del vano, lungo le cui pareti corrono due banchi di legno tardo seicentesco, lo stuccatore Agostino Silva modellò quattro ovati in terracotta, a pieno rilievo, racchiusi in una cornice di stucco, su temi del Vecchio Testamento: "L'uscita dall'arca"; "La terra promessa"; "Il trasferimento di Abramo verso la terra di Canaan" e "Il sogno di Gabriele".
Separato dalla chiesa da un corridoio che corre dietro la cappella della Madonna, sta un piccolo oratorio rinascimentale iniziato nel 1718 e terminato nel 1731.
È l'oratorio degli ex-voto che nel succedersi degli anni hanno testimoniato la devozione dei fedeli e dei pellegrini al Santuario. E la sede, questo oratorio, della Confraternita del S.S. Rosario. |
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La Chiesa di San Giorgio Edificio orientato del sec. XIV, ripreso nei secoli XVI, XVII, XVIII. A tre navate. Tre altari: il maggiore in cappella i minori in parete.
Una chiesa molto importante e sicuramente centrale dell'intero.
Ricca di storia e ancora molto da riscoprire nella sua genesi, impreziosita sul piano delle conoscenze dagli scavi archeologici determinati dal globale restauro di questi ultimi anni.
La facciata é a capanna bassa e allungata con portone centrale di accesso. Interessante la scritta sulla porta laterale architravata della fiancata sinistra. Vi si legge: "Divo Georgio martiri 1309, Post. aedif. MCCCIX. Rest. An. 1550, 1670, 1750".
Gli scavi archeologici effettuati a metà degli anni settanta sotto la direzione del Prof. Pierangelo Donati dell'ufficio cantonale dei Monumenti Storici, hanno fornito indicazioni importanti a proposito di questa chiesa, facendone risalire una prima presenza ad epoche anteriori al citato 1309.
In particolare gli scavi hanno accertato il succedersi di ben sette chiese, di cui la prima eretta verso il settimo secolo, in pieno dominio longobardo. Si tratta di un piccolo sacello a navata unica, abside rettangolare, senza campanile.
Nel XII secolo appare una chiesina romanica con abside semi-circolare e un piccolo campanile. Importanti mutamenti avvengono verso il 1300: viene demolito il campanile e sostituito con l'attuale, mentre la chiesa conosce un ulteriore allungamento sul lato est.
Nel 1550 la chiesa vive un nuovo, radicale cambiamento che la porta alle attuali tre navate, con l'altare maggiore al centro. Più tardi verrà costruita, appoggiandola a parte della facciata ovest, una piccola casa parrocchiale, demolita nel 1942.
Altri ritrovamenti importanti avvenuti durante i citati scavi, riguardano la funzione anche cimiteriale di questa chiesa. Così ad una profondità di circa 50 cm dall'attuale pavimento sono stati rinvenuti due sarcofaghi con cassa a lastroni interrati, sormontati ognuno da un coperchio in blocco monolita dal tetto spiovente.
Sepolture collocabili tra il V e il XII secolo e riguardanti certamente personaggi di un certo rilievo. Molto importante inoltre il ritrovamento di un frammento di lapide tombale con iscrizione a caratteri latini, la cui dedica caratterizza l'uso romanico di onorare i propri morti. Un altro ritrovamento ha messo in luce l'usanza di seppellire i corpicini dei neonati entro due copponi ai lati dei grandi pilastri che delimitano le navate.
Da sottolineare, sempre sulla fiancata sinistra, la presenza di un Ossario (già citato nel 1741 in successione a un altro menzionato nel 1671) nel cui interno si trova un crocifisso in legno stuccato del XVIII secolo. Sulla bussola delle elemosine dello stesso ossario compare la data del 1710.
Sopra l'iscrizione della porta laterale sta un affresco tardo cinquecentesco di una Madonna con Bambino: un affresco molto delicato e armonioso, restaurato in periodo tardo barocco. L'interno della chiesa é di tipo basilicale a tre navate, la maggiore a capriate scoperte con sottotetto di tavelle e le minori con soffitto inclinato. Il pavimento recentemente posato é in cotto artigianale fabbricato nella zona: in pietra é invece il pavimento del presbiterio. Le navate sono definite da pilastri in mattoni, ora parzialmente intonacati e anche dipinti, che sostengono i grandi archi a pieno centro.
Parecchi affreschi arricchiscono l'interno di questa chiesa. Lungo le pareti perimetrali e in quella di controfacciata sono affrescate le 14 stazioni della Via Crucis: opera attribuita al pittore Francesco Antonio Silva di Morbio Inferiore.
Dello stesso autore sono tre rappresentazioni funerarie (due sulla navata di destra e una sulla navata di sinistra) che accompagnano parecchie altre decorazioni, improntate all'analoga tematica, particolarmente presente in questa chiesa.
L'altare laterale della navata sinistra conserva ancora la sua balaustrata in mattoni intonacati e dipinti ed é dedicato alla "Madonna del Latte", il cui affresco, dell'inizio del cinquecento, si trova nell'ampia nicchia. Ai lati della Vergine stanno S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista. Questo altare racchiude il "Cristo morto", uno stucco settecentesco restaurato da Luigi Crivelli di Morbio.
Sull'altra navata sono stati rimossi, durante i recenti scavi di ricerca, sia la balaustrata, sia il prezioso altare ligneo, conservato in casa parrocchiale.
Due le tele appartenenti a questa chiesa: una propone i Santi "Andrea e Bernardo di Mentone oranti la Madonna col Bambino", opera di Andrea Silva; l'altra, datata 1599 é di Francesco Silva e rappresenta il "Crocifisso con i Santi Francesco e Rocco".
Del coro merita un primo particolare accenno "L'adorazione dei pastori", un affresco natalizio che raduna il denso gruppo di personaggi in un paesaggio singolare connotato da un'architettura con muri diroccati e colonne frante, aperta verso una veduta di paesaggi esterni in una felice progressione spaziale.
L'affresco, recentemente restaurato, é databile tra il 1578 e il 1599 e la sua realizzazione é circondata da interessanti leggende, che rivelano un forte attaccamento popolare a questa chiesa e al suo sviluppo.
Ai lati del presbiterio due affreschi ci ricollegano alla vita di S. Giorgio: da un lato il "S. Giorgio che libera la principessa" e dall'altro "La decapitazione di S. Giorgio". Quest'ultimo affresco, più tardivo degli altri, é da attribuire a una mano tardo seicentesca e popolaresca, sicuramente diversa dalle precedenti. Una segnalazione particolare é da fare al riguardo del locale attiguo, che anticamente doveva essere una cappella, dove si può ammirare, risultato anche di un felice restauro, un affresco del XV secolo di elegante esecuzione. Vi raffigura, in una dimensione chiara e mistica, il Bambino seduto sulle ginocchia materne e circondato da santi.
Come già accennato, la chiesa ha conosciuto nell'ultimo decennio un globale restauro, culminato con la posa del nuovo altare a mensa opera dello scultore Milo Cleis di Ligornetto.
Una chiesa molto importante nella dimensione pastorale della parrocchia di Morbio, sia per la sua centralità, sia per i suoi contenuti storico-culturali, sia per la sua prospettiva liturgica.
Particolarmente cara alla comunità anche per la presenza attigua del cimitero, unito alla chiesa in una simbolica continuità di sentimenti.
Le ricorrenze più significative che collegano la vita della comunità a questa chiesa:
la domenica del pane, all'inizio di gennaio il triduo dei morti a fine gennaio |
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La Chiesa di San Rocco Il vicario Generale di Como Mons. G. B. Stampa, autorizza, nel 1727, la costruzione della piccola chiesa. La sua erezione venne eseguita su disegno di Carlo F. Silva, il quale, a questo scopo, aveva lasciato le sue sostanze, e quelle di sua moglie, Caterina Lanzana. In San Rocco si possono ammirare quadri e pitture di pregiato valore del Silva (Francesco) del Ceppi e di G. M. Livio. Carlo F. Silva e la moglie sono qui sepolti.
I Silva
La famiglia dei Silva - artisti di Morbio - si ricollega a quel filone che ritrova nelle nostre regioni prealpine e di lago una feconda sorgente. Architetti, decoratori, pittori, stuccatori che hanno lasciato in tutta Europa il segno delle loro artistiche capacità, forgiate alla scuola di valenti maestri e architetti dagli esempi di quanti li avevano preceduti. Scultori che di principio erano lapicidi, muratori poi divenuti capomastri, architetti, mossero per secoli dal lago di Lugano e dai vicini laghi lombardi, migrarono per tutta Europa... ma non tutti sanno quanto, dal Rinascimento in poi, Roma stessa debba all'operosità dei costruttori e dei decoratori, all'arte degli architetti e degli scultori nativi del lago di Lugano che a Roma trovarono non soltanto occasione di lavoro, ma l'ambiente dove si formarono nell'arte, al quale portarono la loro instancabile attività e qualcuno diede il proprio genio... e i luoghi che tutti amiamo per gli incanti della natura, nei monti, sui laghi, si fanno più cari a noi per l'opera geniale dei loro artisti. Tra questi anche la famiglia dei Silva: quattro generazioni di artisti operanti in un arco di tempo che copre quasi due secoli. Francesco Silva, detto il Vecchio
Nasce a Morbio Inferiore nel 1560 e inizia giovanissimo il suo tirocinio a Roma, alla bottega di Guglielmo della Porta di Porlezza, artista di primissimo ordine nell'ambito dei grandi scultori romani e già allievo del Michelangelo. La scelta di un tale maestro sta ad indicare la condizione benestante della famiglia dei Silva e le doti indiscutibili del ragazzino data la sua ammissione a così provata scuola. La biografia del Silva parla di alcuni suoi lavori nell'atrio di San Pietro, ma, per quante ricerche siano state fatte, nulla é stato rintracciato di sicuramente suo a Roma.
Nel 1611, quarantenne, é chiamato a decorare l'atrio della Sagrestia Vecchia e della Cappella del Battistero della Basilica della Santa Casa di Loreto.
Segue un periodo molto intenso di lavoro in Lombardia e negli Stati Pontifici: sono sue le decorazioni della grande navata unica del trecentesco Duomo di Fabriano, nelle Marche; sue probabilmente le decorazioni della Cappella di San Carlo Borromeo nel Duomo di Faenza in Emilia; suoi gli interventi più importanti nella realizzazione delle cappelle del Rosario al Sacro Monte di Varese, volute dal Card. Federico Borromeo.
L'ultima sua fatica, alle soglie ormai della vecchiaia, é "L'Assunta" sul transetto destro del Duomo di Como. Morirà poco dopo aver terminato l'opera, nel 1641. Agostino Silva
È figlio di Francesco e nasce a Morbio nel 1628. Dopo l'apprendistato nella bottega del padre, passa a Roma per imparare l'arte muraria.
Rivolge la sua vocazione artistica soprattutto verso il campo dell'architettura, firmando numerosi progetti (il rifacimento della parrocchiale di Castel S. Pietro, del Collegio Gallio e della Chiesa di S. Giorgio a Borgovico a Como) e realizzando il palazzo Volpi e la facciata della chiesa di S. Margherita a Como, la facciata della Collegiata di Balerna e la Villa Turconi a Loverciano.
È presente nel santuario di Morbio, lasciando (probabilmente) il segno della sua arte nelle cappelle laterali dei SS. Pietro e Paolo e di S. Giuseppe e nei lavori della volta del coro e del presbiterio. È molto attivo nella realizzazione delle cappelle del Santuario della Beata Vergine del Soccorso sopra Lenno, sul lago di Como.
Contemporaneamente esegue, sul transetto sinistro del Duomo di Como una maestosa "risurrezione" di fronte alla bella "Vergine Assunta" modellata dal padre vent'anni prima.
Agostino é artista molto richiesto e lo ritroviamo poco dopo nell'Italia centrale per la ristrutturazione in chiave barocca dell'interno dei Duomi di Urbino, Assisi e Spello. Lavori di grande prestigio e di assoluta responsabilità, che indicano di quanta stima e considerazione fosse circondato. Le statue di S. Giuseppe e di S. Gioacchino all'altare del Rosario della parrocchiale di Castel S. Pietro appartengono all'ultima fase della sua preziosa e vasta produzione. Francesco Silva, detto il Giovane
Figlio di Agostino, nasce nel 1668 e muore a Bona nel 1773. All'abito talare, per lui desiderato dal padre, preferisce il maglio, divenendo scultore dapprima alla scuola di Ercole Ferrata e poi di Ambrogio Raggi.
Lascia presto Roma, lavorando con il padre nel Comasco, soprattutto nella realizzazione delle cappelle del santuario della Beata Vergine del Soccorso a Lenno. Passa in seguito al servizio del duca elettore di Sassonia. Benedetto Silva
Figlio di Francesco il Giovane e nipote di Agostino, nasce nel 1706. Si dedica inizialmente con forte impegno alla scultura, abbandonandola in seguito per dedicarsi soprattutto all'arte degli ornati, dimostrando in questo campo una forte vivacità e preziose doti.
Lascia il segno della sua presenza artistica a Bologna, Orvieto, Foligno, Perugia, Fabriano; nella nostra regione lavora soprattutto nella collegiata di Balerna, dove eseguì tre altari. Carlo Francesco Silva
Nasce nel 1661 e inizia la sua attività come scultore e stuccatore, dedicandosi in seguito all'architettura. Rimane poco a Roma e, rientrato in Lombardia, esegue, pensando probabilmente al Borromini, la chiesa di Santa Eufemia e la facciata del Santo Crocifisso a Como. Eresse con le sue sostanze la chiesa di S. Rocco a Morbio Inferiore. Morì a Milano nel 1726. Francesco Antonio Silva
Figlio di Benedetto, nasce nel 1733. Pittore molto delicato, studia per parecchi anni a Genova, trasferendosi in seguito per qualche tempo a Roma. I suoi principali lavori sono a Como, dove si stabilisce definitivamente, dopo il soggiorno romano. |
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